Diritto personale

Esattamente come per il diritto di uso, il diritto di abitazione differisce da quello di usufrutto in termini quantitativi:  è il più “limitato” dei tre diritti reali di godimento.

Infatti, l’oggetto del diritto di abitazione  deve essere una casa che può essere abitata, dal titolare del diritto, limitatamente ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia.

Anche il diritto di abitazione, come il diritto di uso, è personale: il titolare di tale diritto deve goderne personalmente e direttamente.

Spesso  il diritto di abitazione viene riconosciuto, sulla casa coniugale, al coniuge cui vengono affidati i figli in sede di separazione o divorzio.

Ancora si riconosce il diritto di abitazione sulla casa coniugale quando uno dei coniugi muore: il coniuge superstite acquista il diritto di abitare la residenza coniugale al momento dell’apertura della successione e questo diritto dura finché egli rimane in vita.

I diritti d’uso e d’abitazione sono collocati, nel codice civile, di seguito al diritto d’usufrutto dal quale seguono la disciplina giuridica.

L’art. 1026 c.c. prevede che  le disposizioni relative all’usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all’uso e alla abitazione. Il diritto di abitazione, così come quello d’uso, ha le sue origini nell’usus domus del diritto romano ed ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata di cui all’art. 1350 n. 4 c.c. (in termini Cassazione civile , sez. II, 21 maggio 1990 , n. 4562).

I diritti d’uso e d’abitazione sono rispettivamente definiti dagli artt. 1021 e 1022 c.c. :

– il diritto d’uso consiste nella facoltà di servirsi della cosa concessa in uso e, se è fruttifera, di raccoglierne i frutti per quanto occorre ai bisogni dell’usuario e della sua famiglia;

– il diritto d’abitazione consiste nella facoltà d’abitare la casa limitatamente ai bisogni del titolare del diritto e della sua famiglia.

I diritti d’uso e d’abitazione assume rilievo, ai fini dell’individuazione della consistenza dei diritti stessi, la nozione della famiglia alla soddisfazione dei cui bisogni tali diritti sono rivolti.

L’art. 1023 c.c. prevede che nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d’uso o d’abitazione, i figli adottivi, i figli naturali riconosciuti e gli affiliati. Si comprendono, nella nozione di famiglia alla soddisfazione dei cui bisogni sono costituiti i diritti d’uso e d’abitazione, anche i collaboratori familiari conviventi. Fanno in ogni caso parte della famiglia anche il coniuge, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini in linea retta.

Con riferimento alla disciplina dell’uso e dell’abitazione che si discosta da quella dell’usufrutto deve sottolinearsi che, ex art. 1024 c.c., i titolari dei diritti d’uso e d’abitazione non possono alienare il diritto né locarlo (cfr. art. 1024 c.c.). In caso di locazione, si verifica decadenza dal diritto reale.

Una fattispecie legale costitutiva del diritto d’abitazione del coniuge superstite sulla casa coniugale è quella di cui all’art. 540 c.c., secondo comma.   In questo caso il diritto d’abitazione del coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano ( se di proprietà del defunto o comuni) gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli. Secondo la giurisprudenza il diritto di abitazione del coniuge superstite della casa familiare costituisce l’oggetto di un legato a favore del coniuge superstite, disposto “ex lege” allo scopo di tutelare interessi non patrimoniali connessi alla sua qualità di erede (quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli “status symbols” goduti durante il matrimonio). Inoltre ai diritti reali di abitazione del coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano non si applicano gli art. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare (in tal senso Cassazione civile , sez. II, 13 marzo 1999 , n. 2263)

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