Prestito vitalizio ipotecario

Si noti che, in definitiva, cedendo la nuda proprietà di un immobile ed utilizzando il ricavato per acquistare una rendita vitalizia si ottiene il risultato di trasformare uno stock di ricchezza immobiliare in un flusso di risorse per l’intero arco della vita della persona disabile.
In linea di principio, un risultato analogo si può ottenere con un singolo contratto: il prestito vitalizio ipotecario ovvero un contratto finanziario inverso rispetto al al mutuo ipotecario: se con quest’ultimo si trasforma il pagamento periodico di una somma (capitale più interessi) in uno stock patrimoniale, con il prestito vitalizio ipotecario si parte da una proprietà immobiliare e la si trasforma in una rendita. Si tratta di un prestito di importo compreso tra il 20% ed il 50% del valore dell’immobile sul quale viene accesa ipoteca: tale prestito può essere contratto mensilmente con l’erogazione di una rendita oppure in unica soluzione. Il debitore (cioè il proprietario dell’immobile) non è tenuto (salvo il caso di vendita dell’immobile) alla restituzione del prestito né al pagamento degli interessi. Gli eredi possono scegliere tra restituire alla banca il valore attuale del prestito erogato acquisendo la piena proprietà dell’immobile, oppure vendere l’immobile e ricevere la differenza tra valore di realizzo dell’immobile stesso ed il valore del debito. Il contratto contiene quindi una componente finanziaria ed una assicurativa (legata all’incertezza circa la durata della vita del contraente). Questa tipologia di contratti ha una notevole diffusione nel mondo anglosassone ed anche in Francia. In Italia l’utilizzo di questo strumento giuridico è di fatto precluso rispetto alla problematica del “dopo di noi”: la legge (DL 30/9/2005 n. 203, art. 11) prevede infatti la possibilità di accedere a tali finanziamenti solo per “persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti”. La ratio di questa norma non è del tutto evidente: certamente all’allungarsi della durata della vita residua attesa questa tipologia di contratto risulta di attuazione sempre più difficile. E’ pertanto probabile che sia la domanda sia l’offerta sarebbero particolarmente rarefatte per persone relativamente giovani; ciò non giustifica però l’esplicito divieto. Se la tipologie contrattuali a situazioni nelle quali la durata della vita residua attesa del contraente non è molto lunga, allora sarebbe logico prevedere una deroga a tale divieto per disabili gravi di età inferiore ai 65 anni: vi sono infatti gravi disabilità per le quali le aspettative di vita per una persona anche giovane possono essere più brevi che per una persona di 65 anni in normali condizioni di salute . (Fondazione Cariplo)

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